Curiosità storiche, linguistiche, ecc. ecc. - O vero [sic] come si divertono i Nerd skifosi quando la geografia non basta più

Mai, presumo.
Ritengo che l'attuale situazione di federalismo in Spagna, nata dopo la morte di Franco, sia dovuta ad un bilanciamento tra la monarchia castigliana, tendenzialmente conservatrice e centralista, e le minoranze catalane, galiziane e basche, spesso schierate a sinistra e con un fortissimo orientamento antimonarchico e autonomista, tanto che già nei primi anni '80 le ex province di Catalogna, Paesi Baschi e Galizia si erano già date ordinamento di Comunità Autonome, forti dei precedenti di autonomia che si erano sviluppati durante il breve periodo della Seconda Repubblica, tra il 1931 e il 1937. Il Pronunciamento di Franco e la successiva vittoria contro il governo repubblicano hanno ovviamente riportato tutto a una situazione di forte accentramento.
La Costituzione del 1978 rompe una tradizione centralista iniziata nel 1700 da Filippo V di Spagna. Come proposta di soluzione al problema regionale e alle rivendicazioni dei gruppi nazionalisti baschi e catalani, senza dimenticare il crescente nazionalismo gallego, valenziano, delle isole Canarie e andaluso, si creò un nuovo modello di stato decentralizzato, nel quale ogni regione si converte in una comunidad autónoma (comunità autonoma) con un governo proprio, un parlamento autonomo, tribunali di ambito regionale e un Estatuto de autonomía (statuto di autonomia) che stabilisce il modello e le competenze che può assumere.

La Costituzione stabiliva due possibili autonomie. Le nazionalità storiche Catalogna, Paesi Baschi e Galizia avrebbero seguito una via rapida e con maggiori competenze. Anche l'Andalusia conseguì il titolo di nazionalità storica. Per le altre regioni la concessione dell'autonomia si dilatò nel tempo e il trasferimento delle competenze fu più lento.
Testo tratto da wikipedia, voce "Costituzione della Spagna", paragrafo "Il sistema politico e le autonomie", a sua volta tratto da un saggio edito dalla Giuffré nei primi anni '80.

In Italia, invece, è mancato un momento di cesura netto come può essere stata la morte di Franco, l'impianto istituzionale centralista derivante dalla francesizzazione del Regno di Sardegna durante e dopo il periodo napoleonico, confermato e intensificato prima dall'applicazione del modello Piemontese a tutto il resto d'Italia durante il periodo dell'unificazione e soprattutto dal periodo fascista è rimasto simile a sé stesso fino almeno al 1970, con la nascita delle regioni. Le riforme del 1992/1994 hanno portato all'assetto attuale, che comunque non è troppo diverso da quello precedente. Penso che ogni tentativo di cambiamento in senso federalista e culturalmente pluralista dello stato Italiano abbia una "soglia di reazione" troppo alta, per usare una metafora appartenente alla chimica.

Infine ritengo sia da considerare la questione demografica, Galizia, Paesi Baschi e Catalogna insieme fanno circa 12 milioni di persone, ossia il 25% dei circa 48 milioni di persone che abitano in Spagna.
All'atto pratico, circa il 20% degli spagnoli non parla il castigliano come lingua madre.
En el 2019, según la encuesta Pew, los idiomas hablados en casa eran el español en el 81% de los hogares, el catalán/valenciano en el 12% (8% de catalán y 4% de valenciano), el gallego en el 3%, el euskera en el 1% y el restante por otras lenguas.
Tratto da wikipedia, con riferimento ad un sondaggio del Pew research center del 2019.

In Italia le minoranze non italofone, come definite dalla legge quadro 482/99, non superano i 3 milioni di persone su 60.
 
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Ma Milano, all’epoca della nascita di Manzoni, non era “Austria”.
Molto banalmente, faceva parte del Ducato di Milano.
La corona del Ducato era detenuta, in unione personale, dall’Arciduca d’Austria, il quale era sovrano di molti altri regni, ducati, ecc. ed era pure incidentalmente imperatore del Sacro Romano Impero.

Casomai si potrebbe sostenere che Milano era austriaca al tempo del Regno Lombardo-Veneto, che era parte dell’Impero d’Austria.
 
Nato però nell'attuale Croazia.

Qualcuno ha dei dubbi sul fatto che Manzoni fosse italiano anche se nato quando Milano era Austria?
Quello dell'ebreo praghese germanofono Franz Kafka è un caso un po' al limite: sul piano culturale egli è indubbiamente e a pieno titolo un esponente (e che esponente!) della letteratura tedesca. Sul piano invece sociale, egli immagino non avesse nessun problema a considerarsi, dopo la nascita di quel paese, cecoslovacco, tanto più che conosceva molto bene il ceco e che la Cecoslovacchia d'anteguerra era un autentico stato multietnico. Interessante è anche l'ormai estinto Prager Deutsch, il tedesco parlato soprattutto, ma non solo, dagli ebrei della capitale: esso non derivava da nessun dialetto tedesco, ma era un idioma esclusivamente basato sullo Hochdeutsch (per forza di cose con una certa coloritura austriaca nel vocabolario) quale imparato a scuola dagli ebrei e pian piano assurto a loro lingua d'elezione (lingua degli studi e poi lingua madre). Anche parte della borghesia urbana non ebrea finì per appropriarsi di questo idioma che nell'impero asburgico godeva di un certo prestigio ed era veicolo di ascesa sociale.

"Das Prager Deutsch ist stark an der Schriftsprache orientiert. Dialektale Einflüsse sind kaum feststellbar. Linguisten zweifeln daher an, dass sich das Prager Deutsch von den in der Region von alters her gesprochenen Dialekten ableitet. Vielmehr dürfte das Prager Deutsch dadurch entstanden sein, dass Deutsch in den Habsburger Ländern zur Bildungssprache der Juden wurde und sie dieses Deutsch zunächst über die Schriftsprache erlernten. Jüdische Schulen durften nämlich in den Habsburger Ländern neben Religion auch Fächer wie Mathematik und Geografie oft nur in deutscher Sprache unterrichten. So wurde Deutsch für viele Juden zur Bildungssprache und für die nachfolgenden Generationen oft auch zur Muttersprache."

"Als sich Deutschland im 19. Jahrhundert für die kleindeutsche Lösung ohne Österreich entschied, entstand eine Bewegung, die sich gegen deutsche Modelle für die österreichische Schriftsprache wandte und innerhalb der Habsburger Länder nach einem neuen Modell für die österreichische Schriftsprache suchte. Bald fand man dieses im Prager Deutsch. Nun begannen sich auch Nicht-Juden an diesem Deutsch zu orientieren. Da der Antisemitismus aber schon damals stark war, begann man zugleich, eine Kontinuität mit den seit langem in der Region gesprochenen Dialekten zu unterstellen und damit herunterzuspielen, dass es ein von Juden geprägtes Deutsch war. Für Linguisten ist aber klar: Bestünde diese Kontinuität, wäre Prager Deutsch ein stark dialektal gefärbtes Deutsch. Es ist aber relativ dialektfrei.

In den großen Städten, allen voran in Prag, wurde dieses Prager Schriftdeutsch immer mehr auch zur mündlich verwendeten Sprache des Bürgertums und der Verwaltung."
 
MI viene anche in mente Conrad, forse c'entra col discorso o forse no. Polacco di nazionalità, russo di cittadinanza, da esule impara l'inglese e in quella lingua diventa scrittore di fama.
 

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In Italia le minoranze non italofone, come definite dalla legge quadro 482/99, non superano i 3 milioni di persone su 60.
La penso anch'io così: in Italia, nonostante l'evidente conflittualità anche tra aree geografiche limitrofe, c'è molta più uniformità etnico/linguistica (oltre che religiosa) che in molti altri Paesi. Le differenze nel nostro caso credo siano maggiormente dovute all'ambiente, non solo quello naturale: per questo motivo ritengo che il Sudtirolo sia a mio avviso l'unica zona d'Italia per la quale si potrebbe parlare a ragion veduta (al netto degli attuali ostacoli costituzionali) di un eventuale referendum indipendentista. E' vero che ci sono altre zone con etnia/lingua diversa da quella italiana, ma si tratta di aree estremamente limitate e che anche per questo motivo maggiormente integrate con l'elemento italiano (non sto qui a discutere se la cosa sia positiva oppure no).
Sono sempre gli aspetti ambientali che avvicinano maggiormente, salvo alcuni casi, l'elemento ladino a quello germanico piuttosto che a quello italiano, al quale linguisticamente sarebbero più affini. Questo sentimento coinvolge peraltro anche una parte dell'elemento italofono alpino, che scema man mano che si scende verso la pianura.
 
Lo scorso weekend guidando ho notato il cartello turistico all'ingresso del paese di Lavin, in bassa Engadina, che dice "Lavin - Italianità Engiadinaisa". Cercando un po informazioni pare si riferisca soprattutto all'architettura di parte del paese ricostruita in stile italiano dopo un grosso incendio nel 1869, peró un'espressione del genere non me la vedrei ad esempio tra i ladini altoatesini.


Il 77% della popolazione è madrelingua ladina, tantissimo per tutti i Grigioni. La principale religione é protestante.
Il fondatore della famosa pasticceria Giacometti, di Lavin, che produce la più buona versione della Torta di Noci Engadinese, era un lontano parente del grande scultore Alberto Giacometti, che però era della Val Bregaglia, di cultura italiana e protestante.
Anche in Alta Engadina sui necrologi i cognomi più diffusi sono italiani, e l'Italiano è parlato da tutti.

La mia impressione è quindi che, in assenza di motivi storici conflittuali come in Alto Adige, la cultura ladina sarebbe molto più vicina e orgogliosa della propria italianità. Ciò che è avvenuto in Italia tra annessioni e fascismo ha parecchio ridotto questo comune sentire.
 
Ieri sera non riuscivo a dormire e così ho pensato di ricorrere a una lettura che potesse conciliarmi il sonno.
La scelta è ricaduta sul censimento croato del 2011, ma non appena ho cominciato ad addentrarmi tra i dati e le tabelle ho capito di avere sbagliato, giacché la consultazione del documento, lungi dall'assopirmi, mi ha tenuto ben desto per ore.
Nel censimento è indicata anche, comune per comune, la ripartizione della popolazione per etnia.
Unsurprisingly, nella quasi totalità dei comuni sono i croati ad essere il gruppo maggioritario. Ci sono anche parecchi comuni, soprattutto nella Slavonia orientale e nelle zone interne della Dalmazia poste al confine con la Bosnia, dove sono i serbi a essere maggioranza.


E poi ci sono tre singolarità che meritano di essere discusse una a una.

1. Grisignana è l'unico comune istriano superstite dove gl'italiani sono il gruppo etnico-linguistico più numeroso.
2. All'estremità opposta del Paese, ovvero in Slavonia, troviamo Kneževi Vinogradi (Hercegszöllős in ungherese), a maggioranza magiara. In ambo le lingue il nome può essere tradotto con un simpatico "Vigne del Principe".

Le prime due singolarità non possono certo dirsi sorprendenti, ma la terza secondo me sì:
3. Nella scarsamente popolata županija di Bjelovar-Bilogora, a oriente di Zagabria, si trova il paese di Končanica il quale presenta una spiazzante maggioranza di cechi! (i quali, nell'intera contea, costituiscono un rispettabilissimo 5,25%).
Ora, potevo capire tutto: slovacchi, rumeni, ruteni, sloveni... ma i cechi! Che diavolo ci fanno i cechi da quelle parti... mah!
 
Lo scorso weekend guidando ho notato il cartello turistico all'ingresso del paese di Lavin, in bassa Engadina, che dice "Lavin - Italianità Engiadinaisa". Cercando un po informazioni pare si riferisca soprattutto all'architettura di parte del paese ricostruita in stile italiano dopo un grosso incendio nel 1869, peró un'espressione del genere non me la vedrei ad esempio tra i ladini altoatesini.


Il 77% della popolazione è madrelingua ladina, tantissimo per tutti i Grigioni. La principale religione é protestante.
Il fondatore della famosa pasticceria Giacometti, di Lavin, che produce la più buona versione della Torta di Noci Engadinese, era un lontano parente del grande scultore Alberto Giacometti, che però era della Val Bregaglia, di cultura italiana e protestante.
Anche in Alta Engadina sui necrologi i cognomi più diffusi sono italiani, e l'Italiano è parlato da tutti.

La mia impressione è quindi che, in assenza di motivi storici conflittuali come in Alto Adige, la cultura ladina sarebbe molto più vicina e orgogliosa della propria italianità. Ciò che è avvenuto in Italia tra annessioni e fascismo ha parecchio ridotto questo comune sentire.
Nel 1869 c'è stato un grosso incendio a Lavin in seguito al quale sono bruciate 68 case. 300 persone erano rimaste senza tetto.
Il paese dopo è stato ricostruito da lavoratori italiani arrivati dalla Lombardia. Metà delle case furono ricostruite in stile italiano. L'architetto italiano Giovanni Sottovia progettò l'edificio del comune e un'altra casa.


Diciamo che (è dirò la cosa più ovvia al mondo) quando ad un gruppo di persone fai del bene quello resta grato e contento.
Se gli fai solo del male, ricevi odio e disprezzo che restano anche decenni se non secoli dopo nei cuori della comunità.
 
ma poi i lavoratori italiani sono rimasti? perchè fino al dopoguerra era raro che ai lavoratori italiani lasciassero il permesso di residenza oltre al periodo prettamente lavorativo

Se sono rimasti poi, come si spiega che ora il 77% dei 226 abitanti parli in romancio?
 
Se gli fai solo del male, ricevi odio e disprezzo che restano anche decenni se non secoli dopo nei cuori della comunità.
Siccome di ladini dolomitici ne conosco abbastanza (ovviamente non quanto te), mi pare che il sentimento non propriamente filoitaliano dei giorni d’oggi non abbia nulla a che vedere con i fatti del fascismo e della prima guerra (quello lo vedo più appannaggio degli iscritti alle associazioni ladine e Schützen): è proprio un’opposizione alla mentalità italiana e al modello organizzativo dello stato e della società italiani, condiviso - in misura minore - anche da “italiani etnici” del Trentino e anche di altre regioni del Nord. In contrapposizione con un modello tedesco considerato superiore in ogni ambito (non entrò nella fondatezza o meno di questa conclusione), col quale ci si tende a identificare.
 
Siccome di ladini dolomitici ne conosco abbastanza (ovviamente non quanto te), mi pare che il sentimento non propriamente filoitaliano dei giorni d’oggi non abbia nulla a che vedere con i fatti del fascismo e della prima guerra (quello lo vedo più appannaggio degli iscritti alle associazioni ladine e Schützen): è proprio un’opposizione alla mentalità italiana e al modello organizzativo dello stato e della società italiani, condiviso - in misura minore - anche da “italiani etnici” del Trentino e anche di altre regioni del Nord. In contrapposizione con un modello tedesco considerato superiore in ogni ambito (non entrò nella fondatezza o meno di questa conclusione), col quale ci si tende a identificare.
Sì, ovvio dobbiamo distinguere tra l'allora e l'oggi.
Dei tempi 1923-1972 ci si incazza più che altro quando qualcuno inizia a sminuire. O girare le cose al contrario, dicendo siete voi i nazisti, vi stava bene etc.

Per quanto riguarda la situazione di oggi, sì, non si è d'accordo col modello organizzativo dello stato italiano.
Ma non perché uno ritenga superiore il modello tedesco. Beh forse in alcuni ambiti ci si è ispirato, ad esempio nella metodologia di insegnamento nelle scuole in lingua tedesca.

Ma non si tratta affatto di una qualche presunta superiorità. Quanto più di avere un modello più adeguato alle esigenze locali.

Il punto fondamentale poi è che lo stato italiano è mononazionale, improntato sull'italianità omologata.

Un territorio plurilingue non potrà mai essere gestito in maniera efficace da uno stato mononazionale. Quindi il modello a cui ci si ispirerebbe per l'organizzazione statale in teoria sarebbe più quello svizzero, dove ci sono 4 lingue nazionali. Il romancio in Svizzera è parlato soltanto dallo 0,5% della popolazione totale e nonostante questo è la 4a lingua nazionale, a pari livello del tedesco che è parlato dal 65%. C'è più equità, più rispetto.

L'autonomia che l'Italia riconosce all'AA invece viene continuamente ristretta, sentivo un avvocato costituzionalista italiano di Bolzano dire che rispetto a 10-15 anni fa stiamo continuamente perdendo "piccoli pezzetti qua e là". È un atteggiamento quello dello stato italiano che per forza viene percepito come deludente.
 
ma poi i lavoratori italiani sono rimasti? perchè fino al dopoguerra era raro che ai lavoratori italiani lasciassero il permesso di residenza oltre al periodo prettamente lavorativo

Se sono rimasti poi, come si spiega che ora il 77% dei 226 abitanti parli in romancio?
Non credo che siano rimasti.

Altro possibile legame tra la pasticceria engadinese e l'Italia :

Secondo Giacometti molti degli emigranti engadinesi del Settecento trovarono lavoro come garzoni di pasticceria a Firenze e Venezia. Anche gli avi della sua famiglia dalla Val Bregaglia si ritrovarono a fare dolci nel capoluogo toscano. Tornati in Bassa Engadina, molti pasticceri costruirono eleganti hotel per un turismo di borghesi che stava nascendo, come il lussuoso albergo Hassler. Ma molti si dedicarono anche a soddisfare i palati dei nuovi turisti lavorando quei pochi prodotti che un clima non certo mite per buona parte dell'anno poteva offrire. Unendo magicamente zucchero, miele, panna, burro e noci nasceva il composto del ripieno della tuorta da nusch nascosto in una pastafrolla di burro, zucchero, uova e farina.
 
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