Certo, ma infatti non pretendo di astrarre.
Poi (ma capisco che un ambiente che bercia di "radical chic" non appena vede qualcuno la cui unica ambizione non sia farsi il suv grosso+grosso e la bella fica, non sia un luogo in cui discutere di lettere, ne del rapporto dell'autore con le sue opere), Cognetti e' sicuramente un personaggio molto strano, del quale secondo me non e' nemmeno semplice capire gli intenti e i significati delle opere.
Quando ho letto le 8 Montagne, a me e' molto piaciuto. Da milanese praticamente "cresciuto" in VdA, il racconto della difficoltà di comunicazione tra il "montagnino" e il cittadino, seppur con eccessi minori rispetto a quelli della Val d'Ayas ce l'ho molto presente.
E, per quanto ora abbia una compagna/moglie valdostana, amici piu' "locals" che turisti, e forse una visione della montagna che e' piu' "la casa a cui si torna" che "il luogo delle vacanze", continuo a notare una sorta di differenza tra me, che in montagna non ci sono nato, e "loro".
Quindi l'ho letto come una storia eminentemente valdostana, visto che ogni incomunicabilità è diversa, e ogni "montagna" e' diversa. In questo caso pero' il Rosa che guarda la valle, e la valle stessa sono dei personaggi della vicenda. Perlomeno per me la vicenda delle 8 montagne e' tale anche percheè si svolge, in grande misura, in val d'Ayas, ai piedi del monte Rosa.
Il film, come notato da molti, e' l'opposto.
Si fa di tutto per rendere la valle un non-luogo fiabesco, una "montagna" come potrebbe essere una scenografia di cartapesta, non codificata nello spazio, nel tempo, nella cultura. E lo si coglie dalle scelte filmiche: i 4:3 che tagliano la prospettiva con i colori slavati (quando uno si sarebbe aspettato delle riprese paesaggistiche coi colori saturissimi alla "The Revenant"), l'accento "de berghem!" dei montagnini...
Roba che ai locals con cui ho visto il film ha fatto rabbrividire, ma anche a me!
Ora, uno si dice, colpa dei registi belgi! E invece scopri che Cognetti e' stato coinvolto nella produzione.
E quindi mi chiedo (e mi son chiesto...) se del libro non ci avevo capito un cazzo (il che e' assai probabile...).
Al di fuori della storiellina scemetta. Ho sempre più il sospetto (sospetto rinforzato da conversazioni con amici brussonins) che a Cognetti la val d'ayas interessi in quanto luogo "estremo" e di montagna.
Potrebbe esser li, potrebbe essere in Nepal, potrebbe essere in uno skidome a Dubai.
Che e' secondo me all'opposto rispetto a quello che apprezzo nella fruizione della montagna (o di un luogo in generale... penso a quando viaggio, ad esempio). Ossia una voglia di entrare e conoscere non solo il luogo, ma anche la gente che ci abita. Non necessariamente per accettare gli schemi di comportamento e il rapporto con la realtà e l'ambiente, ma se non altro per capirlo.
In questo, onestamente, non mi par diverso dai tanti per i quali la montagna e' la montagna skidome, che e' un atteggiamento diametralmente opposto a quello dei "Cognetti" della situazione, ma uguale nel suo ignorare il luogo e la sua specificità. Una globalizzazione della cultura e del sentire, solo che in un caso si è "a destra", e nell'altro si è "a sinistra".
edit:
Aggiungo un simpatico aneddoto.
Cena bella "ruspante" ad Aosta, a casa di amici.
Fiumi di torrette superieur, piatto principale filetto di cervo cacciato dall'amico cacciatore della cumpa, bella atmosfera conviviale.
Ad un certo punto a qualcuno esce un "sti milanesi di merda".
Gelo.
Tutti guardano me, e poi il qualcuno, che poi dice "eh ma te mica sei piu' milanese".
E giu' a ridere e a bere ancora piu' torrette
(non è vero, si rimane sempre Milanesi dentro, così come si rimane montagnini)