[MTB] Traversata delle Alpi Apuane in giornata per Tambura e via Vandelli (2 giugno 2023)

AskY

Sci_cane
Da un paio d'anni ho cominciato a girare in mountain bike: subito era un po' un'attività di ripiego, giusto per allenarsi vicino alla città quando avevo poco tempo a disposizione, magari dopo lavoro; poi col tempo mi sono appassionato sempre di più, e anche se tuttora preferisco arrampicare, le giornate passate su due ruote sono via via aumentate. Come lo scialpinismo, anche la MTB mi ha permesso di scoprire o conoscere meglio zone non lontano da casa dove non capitavo quasi mai; all'esercizio fisico e al divertimento della discesa si è così aggiunto il gusto dell'esplorazione, con la possibilità di coprire distanze indubbiamente maggiori a quelle che avrei potuto percorrere a piedi.

Le Alpi Apuane, pur non essendo proprio vicino a casa mia, le conosco abbastanza bene, avendoci fatto un po' di tutto a parte lo sci: arrampicate in falesia, ferrate, vie alpinistiche e sportive, trekking corti e lunghi di più giorni, alpinismo invernale. L'idea di andarci con la MTB mi stuzzicava da tempo, e sono riuscito a venderla a uno dei soci più allenati, motivati e disposti al ravano. Una delle caratteristiche di queste montagne è che pur essendo molto aspre e con pochissime strade che le attraversano, sono tutto sommato vicine alla civiltà, alle spiagge, e alle ferrovie. Avevo già sfruttato il treno (e gli autobus) in passato per compiere traversate a piedi, dunque perché non farlo anche con la bicicletta?

Partenza dalla stazione di Aulla con nebbia fuori stagione
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Si parte col portage!
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Purtroppo ci sono da molto tempo lavori in corso lungo la linea della Pontremolese tra Parma e La Spezia, e i pendolari devono prendere il bus tra Borgotaro e Pontemoli; dunque dobbiamo per forza arrivare con le bici in auto fino ad Aulla. Da qui prendiamo il treno diretto a Pisa che attraversa la Garfagnana, probabilmente una delle ferrovie più panoramiche d'Italia: dal finestrino, oltre al degrado e al disordine che purtroppo sono un'altra peculiarità di queste zone, si possono ammirare da vicino i versanti nord di queste montagne: il Sagro, il Pisanino e soprattutto il Pizzo d'Uccello, col suo paretone dalle dimensioni più alpine che appenniniche. Una lunga galleria ci trasferisce dalla Lunigiana alla Garfagnana, e usciamo alla prima stazione: Piazza al Serchio. Da questo versante in provincia di Lucca i borghi si presentano un po' più curati rispetto al massese, e anche il paesaggio è meno arcigno, con valli più ampie, qualche lago, l'Appennino che degrada più dolcemente a sud e le Apuane a nord sempre ripide e rocciose ma con qualche collinone boscoso prima a fare da filtro.

La stazione di Piazza al Serchio da cui inizierà il nostro giro
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Dalla stazione con una strada molto godibile in leggera salita a mezzacosta raggiungiamo il Lago di Gramolazzo, posto allo sbocco delle ultime due valli garfagnine delle Apuane: la valle dell'Acqua Bianca (compresa tra Roccandagia e Pisanino) e la valle dell'Orto di Donna (tra Pisanino e Pizzo d'Uccello). E' dalla prima delle due che intendiamo salire per raggiungere la spartiacque presso il Passo della Focolaccia, ben riconoscibile da lontano per i segni della cava che ne ha preso il nome, la più alta delle Alpi Apuane nonché una delle più grandi.

Apuane settentrionali garfagnine: si riconoscono da sinistra Roccandagia e monte Tambura, il passo della Focolaccia con il grande ravaneto bianco, poi a destra i monti Cavallo, Pisanino e Pizzo d'Uccello
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Il bel lago di Gramolazzo con le stesse cime viste da più vicino
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Superato il paese di Gorfigliano, la parte dolce e piana della vallata di origine glaciale finisce, e la strada inizia a salire ripidissima a tornanti in un castagneto. Ignorato il bivio per Campocatino a sinistra, continuiamo a salire fin quando il bosco non lascia il posto alla prima cava (Campaccio) da cui il paese in cui eravamo prima appare già piccolo. Si continua su strada marmifera (percorsa dai camion diretti alla cava) con pendenze costanti e talvolta spietate, specialmente quando la faggeta finisce e si comincia a salire su terreno aperto. Per fortuna il cielo si va annuvolando e c'è un poco ventilato, altrimenti cuoceremmo!

Sulla marmifera per il passo della Focolaccia
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Dopo l'ultimo tornante, ormai vicina alla base delle pareti del monte Cavallo, la marmifera traversa con decisione verso il passo, posto circa alla stessa quota. Arrivati a ridosso della cava però il traverso si interrompe improvvisamente e la strada scende ripida per quasi 50 metri di quota fino al fondo della cava: si ha così una percezione dello spicchio di montagna “mangiato” dall'escavazione, il cui risultato più evidente è il grande ravaneto (cioè il ghiaione formato dai materiali di scarto) che precipita verso il fondo valle.

Il ravaneto sotto le cave Focolaccia; sulla destra il monte Cavallo
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Le cave hanno modificato profondamente l'aspetto di queste montagne, ma non si può negare loro un certo fascino: di fatto per arrivare al passo si traversa sui blocchi squadrati, abbagliati dal chiarore lucido del marmo. Nel frattempo le nuvole si sono infittite, soprattutto verso l'Appennino, mentre dal lato del mare sale uno strato di nebbia che va a sbattere contro la cresta... non possiamo così godere del panorama sulla Versilia, come del resto capita molto spesso. Le nuvole non sono però così fitte da impedirci lo scorcio sulle vicine guglie di punta Carina e il bivacco Aronte appena riverniciato bianco.

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Il bivacco Aronte e la Punta Carina
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A questo punto, visto anche il meteo non troppo promettente, potremmo tornare sui nostri passi o proseguire la traversata lungo la strada marmifera verso Piastrone (che però non si potrebbe percorrere neanche a piedi) e poi per sentieri e ripide vie di lizza fino a Resceto. Il programma però prevede la salita in traversata del monte Tambura, e il tempo non ci sembra così terribile... poi è ancora mezzogiorno, dunque relativamente presto per i temporali che erano previsti più che altro in Appennino e nel primo pomeriggio. Di comune accordo decidiamo così di caricarci in spalla le bici e iniziare con pazienza a solcare il crinale apuano.

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La nebbia si va infittendo ma ogni tanto ci lascia scorgere qualcosa... la sensazione è di essere sospesi tra il nulla lato mare e una Garfagnana sempre più cupa. In alcuni passaggi la cresta si fa sottile e si percepisce l'esposizione... non si arrampica mai (di fatto è un sentiero E) ma il rischio di far cadere molto lontano la bicicletta in caso di inciampo è concreto! Dopo circa un'ora arriviamo in vetta (1890m) e come per magia comincia a piovere. Una quantità spropositata di piccoli insetti ci assale, mettendoci ancora più fretta di levarci d'impiccio... un temporale quassù è decisamente poco raccomandabile, sia per noi sia per altri escursionisti che incontriamo.

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In vetta alla Tambura (1890m)
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Ora uno pensa “Oh che bello, giù a rotta di collo per un bel single track”... sticazzi! La discesa è ancora più ripida della salita, cosparsa di grandi sassi, e sono più i tratti in cui la bici va ancora spallata rispetto a quelli dove almeno si riesce a spingerla. Nel frattempo la pioggia aumenta, accompagnata da un paio di tuoni non troppo lontani. La nebbia ci dà una relativa sensazione di essere al riparo dai fulmini, e non percepiamo elettricità, comunque non ci attardiamo più di tanto e cerchiamo di scendere più veloci possibile badando a non scivolare sul terreno ormai bagnato.

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Gli ultimi tratti prima del Passo della Tambura sono davvero penosi, ha iniziato pure a grandinare! Mi fermo ad aspettare il mio amico sotto uno strapiombino appena accennato con una scultura in marmo della Madonna che non basta a ripararmi dall'acqua, ormai siamo fradici e la via di discesa, che da qui in poi sarebbe finalmente pedalabile e divertente, si è trasformata in un ruscello!

Al passo della Tambura sotto le cateratte...
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Si tratta della famosa Via Vandelli, costruita nel 700 dall'ingegnere omonimo assoldato dai duchi d'Este che volevano una strada commerciale e militare che attraversasse l'Appennino e le Apuane per collegare i loro domini in Emilia e Garfagnana con Massa senza passare da territori confinanti (Granducato di Parma e di Toscana). L'Appennino era attraversato al passo delle Radici e a san Pellegrino in Alpe, mentre le Apuane al Passo della Tambura, punto più alto del percorso. Fu un'opera eccezionale per il tempo, e specialmente la discesa verso Massa si presenta come una sequenza spettacolare di tornanti sorretti da imponenti muri a secco che vincono pendenze notevoli.

E' considerata la prima strada moderna, di concezione illuminista: l'ingegno umano trovava ragione sugli ambienti naturali più aspri. Forse non è un caso sia nata proprio qui sulle Alpi Apuane, dove i cavatori architettarono sistemi audaci per trascinare a valle i blocchi di marmo lungo le vie di lizza, cioè mulattiere a pendenza costante sostenute da muri a secco. Proprio come la via Vandelli, ma molto più ripide e con meno tornanti. Alcune sono ben conservate e percorribili ancora oggi, ma a piedi e non certo in bicicletta!

La prima parte della spettacolare via Vandelli ci tocca così scenderla penosamente, coi freni cigolanti per le pastiglie bagnate, sempre pronti a scendere per evitare i tratti più esposti. Abbiamo talmente fretta di arrivare al rifugio Conti che non ci siamo neppure messi i guanti e le protezioni, non grandina più ma comunque la pioggia continua!

L'acqua piovuta a monte che scende inesorabilmente a valle...
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Lo stesso passaggio inquadrato da dietro
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Superata una cascata e un paio di placche insidiose, rimontiamo in sella raggiungendo la Finestra Vandelli, ai piedi dei Campaniletti, piccole e caratteristiche guglie rocciose. Qui riprendiamo in spalla la bicicletta per superare la breve scalinata che ci porta al rifugio Conti, vero nido d'aquila costruito sulle pendici del monte Focoletta con vista sulle cave dell'Alto di Sella.

Dalla cucina veniamo accolti con urla di tifo calorose, ed è un piacere entrare dentro e trovare un po' di caldo e un bel piatto di pasta al pesto! Oggi che i rifugi stanno diventando sempre più simili ad alberghi, si apprezzano anche le piccole cose in quelli che invece sono rimasti autentici, raggiungibili solo con lunghe camminate.

Nel frattempo ha smesso di piovere, ma quando usciamo i vestiti non sono ancora del tutto asciutti e dopo il tepore dell'interno il freddo si fa sentire! Per fortuna c'è da fare a ritroso il breve tratto di portage che ci scalda un po', e alla finestra siamo pronti per scendere lungo la linea surreale pensata da Domenico Vandelli quasi 3 secoli fa.

Ripartenza dal Nello Conti sotto un cielo che ormai promette bene!
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Il passaggio dei Campaniletti
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Il sentiero è praticamente già asciutto, essendo tutto di sassi. Non si riesce mai a lasciare davvero andare la bici, anche perché ci sono passaggi esposti, ma il tratturo è in buona parte sufficientemente largo e mai troppo ripido; per i tanti tornanti trovo utile buttare fuori il piede interno, ma in generale i pneumatici belli gonfi (e nuovi) mi danno idea di restare bene aderenti. Le bestemmie di due settimane prima durante un sabato piovoso per smontare i vecchi tubeless e montare, tallonare e latticizzare i sostituti hanno portato a un buon risultato!

Immagini della discesa dalla Vandelli... giusto per dire che non abbiamo spinto la bici e basta ma un po' la usiamo anche per scendere!
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Ci fermiamo spesso ad aspettarci e farci foto, anche per riposare un po' le braccia continuamente sollecitate dagli urti. Dopo circa 1000 metri di discesa su questo terreno, ammetto che ritrovare l'asfalto a Resceto è pura goduria! La strada sfila ora veloce sotto le ruote, tutto diventa più liscio, largo, scorrevole: arriviamo fino alle porte di Massa quasi senza dare un colpo di pedali.

Potremmo prendere direttamente qui il treno, ma non è tardi e ci sembra logico proseguire – come del resto doveva fare la via Vandelli – fino al mare. A Massa riesco a perdermi sempre: per un tratto seguiamo stradine secondarie ma poi finiamo nel nulla in un campo sportivo e ci tocca andare a prendere quella principale verso Marina di Massa, piuttosto trafficata; poi per fortuna troviamo la pista ciclabile che segue il fiume Frigido e vi ci infiliamo subito seguendola fedelmente fino a che il fiume sfocia nel Tirreno.

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Ci concediamo a questo punto un po' di lungomare, giusto per vedere un po' di donzelle accaldate che sarebbe stato meno probabile incontrare qualche ora prima, a 15 km in linea d'aria, sulla cresta della Tambura, sotto la grandine! L'aperitivo sul mare però sarebbe fuori luogo, e preferiamo farlo in attesa del treno alla stazione di Carrara – Avenza, ben vicini alle biciclette!

Conclusione trash
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La parte finale della giornata è nuovamente per treni, decisamente più affollati rispetto a quello preso la mattina. Dopo un cambio a Vezzano Ligure siamo di nuovo alla stazione di Aulla e la discesa finale ci riporta all'auto dove concludiamo questo bel giro, stanchi il giusto e soddisfatti.

Qualche consiglio pratico a chi intendesse rifarlo: se volete risparmiarvi la sezione di portage del monte Tambura, dopo Gorfigliano è meglio proseguire per Campocatino e seguire direttamente il sentieri per il passo della Tambura, che è poi la via Vandelli classica. Col senno di poi, considerato che all'una ha piovuto, avremmo potuto fare anche noi quella scelta. La Vandelli integrale si può intraprendere pure da Modena ma in tal caso ci vogliono almeno due giorni. Anche la parte emiliana della via deve essere molto bella stando alle descrizioni, e conto prima o poi di farla.

Saluti dai ravanatori, anche su due ruote non ci smentiamo!
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: il Sagro, il Pisanino e soprattutto il Pizzo d'Uccello, col suo paretone dalle dimensioni più alpine che appenniniche.
per me sono le strade di casa noi le percorriamo abitualmente su bici da strada o facendo trekking.
spesso anche in fuoristrada per motivi di lavoro, come non amare queste zone a due passi dal mare.
P.S. Riferito al grassetto si chiamano alpi apuane proprio per quello altrimenti sarebbero appennini apuani😄
grazie per il bel report e complimenti
 
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